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Valutazione

Forse la responsabilità più rilevante, per le conseguenze che implica, che il professionista si assume, riguarda l’attività di valutazione delle singole situazioni problematiche.
Le professioni sociali non possono giovarsi di oggettività o certezze scientifiche di giudizio, ma sono governate dalle interazioni che di volta in volta si sviluppano attorno a persone diverse. Certamente l’esperienza dell’operatore e i fondamenti etici e deontologici di ciascuno consentono di discriminare tra un caso e l’altro, alcune teorie aiutano a comprendere quanto accade, e un atteggiamento di relativo distacco solleva da un eccessivo coinvolgimento. Tutto questo è vero, ma non mette al riparo dalla necessità di operare valutazioni che producono conseguenze importanti su quanto c’è di più intimo ed esclusivo, le relazioni familiari e sociali degli individui, segnando a volte in modo determinante la loro esistenza.
Sono un esempio le valutazioni che conducono alla segnalazione alla Magistratura minorile di comportamenti inadeguati dei genitori, piuttosto che i pareri dati per ottenere l’idoneità all’adozione. E’ una facile semplificazione dire che la decisione è del Magistrato, pertanto anche la responsabilità delle conseguenze; di fatto sappiamo che, condivisa o no, si fonda sulla conoscenza diretta della situazione da parte degli operatori.
Altrettanto gravosa è la responsabilità che l’operatore si assume per omissione nella valutazione, quando molti fatti dovevano condurre a interventi autoritativi e protettivi evitando gravi conseguenze sulle vittime più deboli.
Il tema della valutazione, che è un giudizio, non di valore, ma di necessità del cambiamento, porta in primo piano la difficoltà della posizione dell’operatore, costantemente a rischio di cadere nella trappola di iperintervenire, in un furore salvifico e onnipotente, o al contrario di scivolare nelle insidie di una presunta neutralità che trascura l’incalzare degli eventi.
Attorno a questo nodo si sono di recente confrontati molti magistrati di famiglia che hanno coniato anche il termine di “giurisprudenza mite” per indicare un atteggiamento che discrimina di volta in volta come applicare le norme, interpretandole al fine di conformarle il più possibile ai bisogni delle persone.
L’operatore può avvalersi di due opportunità: la prima cercare la condivisione di altri operatori, del gruppo e dei responsabili di riferimento, la seconda cercare di apprendere dagli errori. Effettuare valutazioni a distanza sugli esiti di quanto realizziamo può aiutare a costruire decisioni maggiormente consapevoli.
Una seconda possibile accezione di valutazione è quella che il professionista deve saper effettuare su di sé, attraverso un percorso di autovalutazione o sostenuto da un supervisore.

Non è certo semplice realizzare una riflessione che non è altro che un bilancio di valore attorno  a sé e a quanto si è fatto, rispettando l’etimologia del termine valutazione, cioè una stima.  Quanto più si crede nel mandato tanto più l’autovalutazione può risultare penosa, se correlata esclusivamente alle conseguenze e ai risultati dell’operato. E’ una verifica cui non si può sfuggire, ma neppure è lecito circoscriverne il campo al singolo professionista, poiché le variabili che influenzano gli esiti delle situazioni sono molte, determinate dalle circostanze, dalle organizzazioni, a volte da fattori imponderabili che altri preferiscono chiamare destino. E’ lecito invece orientare l’autovalutazione attorno alla qualità del proprio interessamento, all’impegno speso, ai movimenti empatici da decodificare.
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