La trattazione della responsabilità giuridica dell’operatore implica una prima differenziazione:
– responsabilità nei confronti dell’Ente di appartenenza quale organo della Pubblica Amministrazione secondo le norme istitutive del servizio, norme contrattuali, rapporti gerarchici all’interno del servizio stesso e così via,
– responsabilità nei confronti delle persone cui si presta il proprio intervento.
Intendiamo qui prendere in esame questo secondo aspetto in termini generali, rinviando a specifiche schede di approfondimento l’intervento e la normativa di riferimento per i singoli servizi (maternità ed infanzia, minori a rischio, consultori familiari, tossicodipendenza, anziani, sostegno a favore di adulti in difficoltà, malattia mentale, disabilità, ecc.).
Una seconda distinzione è da porsi a seconda che l’accesso al servizio avvenga su base spontanea oppure per dovere istituzionale, invio da parte di altri servizi, chiamata in causa ad esempio dal Tribunale per i Minorenni.
Ciascuna di queste tipologie di intervento dell’operatore prevede doveri di tipo diverso che vanno da un semplice accompagnamento, con l’eventuale predisposizione di un contratto accettato e sottoscritto dall’utente, ad un vero intervento autoritativo e vincolante per l’utente quando sia dovuto in base ad un decreto dell’Autorità Giudiziaria.
Naturalmente all’interno di questi due estremi si declinano scelte e modalità diverse suggerite all’operatore non solo da norme sempre interpretabili nell’applicazione al caso concreto, ma anche dalla specificità della singola professione, eventualmente in collaborazione e condivisione con altre professionalità e con altri servizi.
Punto fermo è l’obbligatorietà dell’intervento che, se disatteso, può, in casi estremi, configurarsi in una serie di reati che spaziano da omissione di soccorso (art. 593 C.P.) ad abbandono di minori o di incapace (art.591 C.P.) a omicidio colposo (art.589 C.P.).
Per contro, se l’intervento dell’operatore fosse eccedente rispetto alla gravità del caso, si potrebbe cadere in abuso di mezzi di correzione o di disciplina (art. 571 C.P.), sequestro di persona art. 605 C.P.), violenza privata (art.610 C.P.).
Quali punti di riferimento essenziali per indirizzare correttamente l’intervento dell’operatore, vorrei citare l’art. 3 della Costituzione che al comma 2 impone come compito fondamentale dello Stato “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…” ed ancora gli artt.30 e 31 che, nell’elencare i doveri dei genitori, prevede che lo Stato intervenga con varie “provvidenze” per aiutarli ad assolvere i loro compiti.
Da queste premesse costituzionali discendono le varie leggi di settore che sanciscono appunto un intervento obbligatorio dello Stato attraverso i suoi organi e servizi via via predisposti.
Fra le norme di riferimento, fondamentale è il D.P.R. 616/77 che negli artt.22 e 23 impone all’Ente locale competente un intervento obbligatorio ed autonomo ogni volta che un suo cittadino si trovi in stato di bisogno.
Questo anche quando, ad esempio, la chiamata in causa avvenga da parte del Tribunale per i Minorenni: quell’intervento è dovuto, ma la predisposizione e l’attuazione del progetto di intervento resta compito del Servizio all’interno della politica sociale dell’Ente stesso.
L’operatore che non l’attuasse incorrerebbe in una serie di responsabilità amministrative, civili, penali che trovano precise sanzioni nei nostri codici: l’art.28 della Costituzione recita “ i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli Enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli Enti pubblici”.
A livello amministrativo le inadempienze potrebbero comportare un semplice richiamo, la sospensione dal servizio, il licenziamento per giusta causa.
In ambito civile l’art.2043 C.C. recita: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
A meno che, art 2050 C.C. “ nello svolgimento di una attività pericolosa per sua natura o per la natura dei mezzi usati, …non provi di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.
L’art. 2055 C.C. prevede che “se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido…”.
L’ambito di maggior rilevanza per l’operatore quale pubblico ufficiale od esercente di un pubblico servizio – nozione definita negli artt. 357, 358 Codice penale.- è quello penale. Secondo l’art. 658 C.P. : “ sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio” , quindi non solo i dipendenti dalle pubbliche amministrazioni, ma anche i consulenti, i soci e dipendenti di cooperative, aziende, singoli professionisti che, anche a titolo volontario, collaborano.
Gli articoli del Titolo II e III impongono ad un operatore pubblico la denuncia di “ un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni”.
Qui è evidente la differenza tra quale dovrebbe essere il corretto comportamento dell’operatore secondo i principi del Codice Penale e quanto suggerisce la deontologia professionale e le norme concernenti il segreto professionale.
Non sono pochi i casi in cui l’operatore da un lato ha l’obbligo di segnalare o denunciare all’autorità giudiziaria competente alcuni sviluppi del caso su cui sta intervenendo, mentre il rapporto fiduciario istituitosi tra lo stesso e l’utente e la normativa sul segreto professionale e la legge istitutiva della privacy lo vieterebbero.
Un primo aiuto a risolvere questo dilemma ci viene dall’art. 15 C.P. “ Quando più disposizioni penali…regolano la stessa materia, la legge…speciale deroga alla legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito.”
In alcuni casi, quale, ad esempio, la normativa sulla tossicodipendenza e l’HIV, è fatto esplicito divieto, per certi operatori ed in determinate situazioni, di rivelare fatti anche se potrebbero avere rilevanza penale.
In altri, la corretta interpretazione delle norme ci dice che lo stesso operatore tenuto al segreto professionale (norma generale) qualora operi come pubblico funzionario è tenuto invece a denuncia, testimonianza, referto ecc.(norma particolare).
L’assunzione di scelte responsabili e consapevoli da parte dell’operatore, secondo il proprio codice deontologico, anche in condivisione con altri colleghi dell’equipe e dei responsabili del servizio, saprà certamente suggerire la via d’uscita migliore.
In certe situazioni particolarmente delicate potrebbe essere d’aiuto l’esame del caso alla luce della cosiddetta teoria del bilanciamento degli interessi in gioco: l’attenzione deve focalizzarsi su quale degli interessi contrapposti debba avere la maggiore tutela. E’ prevalente il rispetto del segreto professionale o la tutela della salute, del benessere, in casi estremi della vita di colui che il mantenimento del segreto potrebbe danneggiare?
Art 358 C.P. agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale.