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Responsabilità deontologica

Quando citiamo questo termine il pensiero si orienta ai codici di autoregolazione di alcune categorie professionali, alle norme sancite dalle leggi, ai principi affermati dalle carte costituzionali, ancor più in generale alle dichiarazioni universali dei diritti.
Se decliniamo questo termine correlandolo all’idea di responsabilità immediatamente siamo ricondotti di fronte al mare di realtà che divide il dire dal fare.
Tra la regola scritta, astratta, spesso un vero e proprio catalogo di diritti e doveri, e l’effettività di questi si apre lo spazio dell’interpretazione riguardante i soggetti e l’ambiente concreti, in ultima analisi la sfera dell’autonomia professionale.
Assumere la responsabilità di definire la declinazione dei principi, significaascoltare il nostro interlocutore, interrogare la sua storia, condividere le osservazioni con altri operatori che si occupano di lui e non partire dal presupposto che di fronte a casi simili, in passato, si è fatto così.
Non troveremo quindi conforto o sicurezza nei codici, se non una sorta di catalogo di buone intenzioni, che vanno comunque ricondotte alla capacità di reinterpretarle in ogni specifica situazione.
Inoltre, non tutto può e deve essere scritto, accanto alle regole formali, ciascun operatore sa che le organizzazioni in cui opera conservano regole implicite, tradizioni e comportamenti che non trovano altra spiegazione salvo che la consuetudine è più rassicurante del rinnovamento.
A volte queste regole informali configgono con quanto è scritto nelle regole deontologiche ma, altre volte, attenuano i rigori d’interpretazioni troppo letterali e si dimostrano più rispettose delle persone.
In alcuni casi l’operatore deve decidere se, quando e cosa rivelare alle persone su argomenti che le riguardano direttamente. Non si tratta di mentire, sarebbe contrario alla deontologia (e all’etica) e soprattutto inutile, ma di dire solo quanto è in quel momento tollerabile per l’interlocutore, aiutandolo a prefigurarsi un futuro meno disperato.
Le norme scritte, le procedure non possono aiutare a declinare come si deve operare in ciascuna situazione, un esempio può essere dato proprio dagli interventi estremi che spesso gli operatori sono chiamati a eseguire: i trattamenti sanitari obbligatori, o gli allontanamenti coatti di bambini dalla famiglia, o altri interventi “forti”, anche se non così drammatici, a cui si può rispondere in molti modi. In queste circostanze l’unico criterio che può orientare l’operatore è di cercare la strategia che arrechi il minor danno emotivo possibile.

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